Il dorayaki delle età del mondo

Riccardo Tavani

Un’opera di rara delicatezza e profonda semplicità, come forse solo nella cinematografia orientale possiamo ancora trovare. Soprattutto perché al centro c’è la figura di una donna anziana, colta nel momento del suo sofferto declino, che riesce a darci perle di esperienza e saggezza. Una capacità che avevamo già visto espressa nel 2010 in Poetry, film sudcoreano di Lee Chang-dong, dove il declino ingiusto della memoria di una nonna è fermato dall’esercizio della poesia. Poesia che restituisce lucidità mentale alla protagonista, anche per rendere giustizia alla sua città, ferita da un grave suicidio adolescenziale. Altro film orientale sulla stessa scia è A simple life, di An Hui (Hong Kong 2011), dove è struggentemente narrato il rapporto tra una tata, ora vecchia e malata di cancro, con il bambino che ha accudito fin da grande.

Come in Poetry, anche nel nipponico Le ricette della signora Toku (An è il titolo originale) il declino senile è legato a una figura giovanile. Qui, anzi, ci troviamo di fronte a tre generazioni del Giappone: quella della signora Toku, quella centrale della maturità del pasticciere Sentaro, e l’ultima quella della fresca, adolescenziale della studentessa Wakana. Sono tre generazioni, tre età della storia di un Paese, con tre diverse condizioni e prospettive esistenziali.

Il tutto, per i tre personaggi, ruota attorno a uno dei dolcetti più semplici e diffusi in Giappone: il dorayaki. Questo dolce è costituito dalle due piccoli pancake, morbidi, leggermente rigonfi verso l’esterno, fatti di kasutera, un impasto simile al nostro pan di spagna. In mezzo, nella parte interna, piatta di queste due metà, si mette l’anko, una marmellata dolce di fagioli rossi azuki. Non dovrebbe essere una ricetta difficile per un pasticcere come Sentaro che da anni gestisce un chiosco in affitto, con qualche tavolino interno e una vetrina-finestra aperta su un angolo di strada di passaggio per studenti, famiglie, gente che va al lavoro. Eppure i suoi dorayaki non vanno: pochi di quelli che li provano, tornano da lui a prenderne ancora. Ragazzi e ragazze, nel quotidiano andirivieni scolastico, ne consumano, ma ironizzando sempre con garbata causticità sul dolcetto e su chi lo impasta. Spesso ne lasciano nei piattini una buona metà.

Sentaro è sfiduciato, stanco, insoddisfatto per un’esistenza piatta, insipida come i suoi dorayaki, che si trascina senza slancio verso il futuro e con tanti rimpianti verso il passato. Sembra disprezzare tutti, meno forse Wakana, alla quale regala i dolcetti malriusciti anche nella loro semplice forma circolare.

La anziana signora Toku, in cerca di lavoro, per un compenso molto basso e sopportabile dalle ristrettezze economiche di Sentaro, prende servizio nella cucina chiosco. Le sue mani sono erose, sfigurate per essere state colpite in passato dalla lebbra. La sua marmellata di azuki, però, è eccezionale e adesso la gente, ragazzi e ragazze accorrono in quell’angolo di strada a ordinare e divorare dorayaki. Gli affari del pasticciere hanno una rapida, inimmaginabile impennata. La ricetta della signora Toku, in realtà, è una lezione di vita, di paziente saggezza e sensibilità esistenziale nei confronti delle persone e di ogni altra semplice cosa vivente o inanimata.

Il legame tra le diverse età del Giappone, rappresentate da Toku, Sentaro e Wakana, si consolida nella forma di un’amicizia fatta di affetto, stima, gioiosa simpatia. Ai due lati del rapporto ci sono due donne, una vecchia e una giovane; in mezzo un uomo nella sua sofferta maturità. Dobbiamo sempre aver presente che in un film, di solito, è proprio il personaggio femminile a essere incarnazione del proprio Paese. Ci troviamo così di fronte a un dorayaki esistenziale. Sentaro è la sua cattiva marmellata di fagioli rossi, in mezzo ai due pancake femminili. È il presente di insoddisfazione e privo slancio di una generazione. Toku è il passato e le sue mani mangiate dalla lebbra sono l’orrore atomico inflitto al Giappone con le bombe sganciate su Hiroshima e Nagasaki. Wakana è il futuro, la freschezza dell’apertura verso la speranza. Tre età, tre generazioni di un Paese scisse nel presente, chiuse ognuna dentro la propria dimensione, senza alcuna vera via d’uscita.

Sentaro, infatti, verso il proprio passato, la propria vecchia madre, ha un rapporto che non è mai stato di vera intimità e scambio emotivo. Wakana e la sua generazione sono destinate a nutrirsi di pessimi dorayaki esistenziali, ossia di cultura, affetti, sentimenti malriusciti sia nella forma, che nella sostanza. Toku è confinata, occultata in un ospizio per persone che sono state affette dalla lebbra di un passato tragico e che ne recano ancora sulla pelle tracce tanto evidenti che nessuno vuole più vedere.

Quando le tre età si ricompongono attorno alla concretezza di uno scambio, di un dono reciproco, di nutrimento autentico offerto agli altri, i peschi e i mandorli in fiore non sono che una manifestazione della gioia espressa da ogni singola, anche impalpabile entità del mondo.

Per diverse, concomitanti vicissitudini i tre, però, sono costretti a separarsi di nuovo e – immediatamente – quel perfetto, irraggiungibile dorayaki si spappola, si disfa inesorabilmente. Drammaticamente svanisce nell’isolamento esistenziale, ontologico di ogni singolo ingrediente, elemento che lo componeva dall’interno e dall’esterno lo avvolgeva.

Per Wakana, però, una via è stata segnata, la traccia di una possibilità, anzi, di una vera necessità per la sua esistenza è stata preziosamente lasciata. Non il nulla del tempo, ma una direzione resta nel mondo.