L’ombra sul delta fluviale della verità

Riccardo Tavani

La isla minima si può definire un film azzeccato. Azzeccato perché unisce gli ingredienti più classici del film giallo, del genere poliziesco, d’azione con un’alta qualità cinematografica nei contenuti narrativi, nella fotografia, nei dialoghi, nei movimenti della macchina da presa, nel montaggio. Non sarà, dunque, per niente un caso se il film è stato insignito con ben dieci premi Goya, il massimo riconoscimento del cinema iberico.

Due poliziotti sono spediti, per indagare sulla sparizione di due sorelle poco più che adolescenti, nella zona paludosa del fiume Guadalquivir, dove l’estrema provincia di Siviglia si bagna nel mare. L’ambientazione storica è quella degli anni ’80 del secolo scorso, dopo la caduta del regime dittatoriale del caudillo Francisco Franco. Una pagina di storia appena voltata ma che continua a gettare un’ombra densa su questa vicenda, già di per se torbida.

Sono due investigatori che hanno età diversa, con storie e mentalità differenti, sia per quanto riguarda il passato, che il presente. Anche la coppia dei poliziotti è un cliché molto sperimentato e più volte utilizzato del genere poliziesco. Il pericolo di reiterarlo in maniera non originale, e dunque meccanica era in agguato. Il regista Alberto Rodríguez, invece, si dimostra capace di reiventare e rendere molto interessante il cliché. Lo fa attraverso la caratterizzazione somatica, psicologica, culturale di due attori – poco o niente conosciuti – ma che qui se la cavano più che egregiamente. Sono Javier Guitiérez, nella parte di Juan Robles, e Raúl Arévalo, come Pedro Suarez, quest’ultimo con vari tratti e movenze a la Sean Penn. Pedro, il più giovane dei due, mostra subito la sua adesione ai nuovi valori democratici anche nel modo di condurre le indagini e interpretare i fatti. Quando, ad esempio, qualcuno gli dice, insinuando, che alle due ragazze scomparse “piaceva divertirsi”, lui ha un moto di stizza e stronca immediatamente l’illazione. La sua è una tabula rasa proiettata verso il futuro. L’altro, Juan, è transitato, come molti altri suoi colleghi, senza colpo ferire, dalla trista polizia franchista a quella del nuovo corso storico.

Il paesaggio acquitrinoso della foce del fiume Guadalquivir si staglia sullo schermo come un vero e proprio personaggio attivo della vicenda, rendendola ancora più intricata e melmosa.

È una ricerca sulla verità che vorrebbe squarciare un velo non solo sui fatti delittuosi indagati, ma sulla loro radice di potere. Quali sono, però, le ombre di continuità con quello precedente? Questo il vero nocciolo, osso duro e occulto dell’acquitrinoso misfatto.

Quando un film è azzeccato, fa centro, non è proprio il caso che a mancarlo siamo noi.