La fotografia come faccia umana del cielo e della Terra

Riccardo Tavani

Nei suoi momenti più drammatici la collettività fa sempre ricorso alla fotografia. Vediamo campeggiare sulle facciate dei palazzi istituzionali grandi foto di persone uccise, scomparse, sequestrate nei tanti luoghi del mondo dov’è c’è chi fa e subisce la guerra e chi tenta di aiutare le popolazioni civili. Lo vediamo in questi giorni su tutti i social media e i siti internet con la foto di Giulio Regeni, torturato e massacrato al Cairo. Ossia anche un nuovo media elettronico, digitale, deve far ricorso a uno vecchio analogico – come la fotografia – per esprimere la buia drammaticità di ciò che è accaduto a quel nostro luminoso giovane. La foto fissa qualcosa di una persona, di una situazione che va oltre il momento storico preciso che pure essa ritrae. L’immagine fotografica fissa e allo stesso tempo trascende il punto storico che inequivocabilmente ritrae.

Che cosa succede, però, quando la fotografia si fa cinema, come in questo grande affresco antropologico intitolato Human? Se ci pensiamo, la fotografia è già alla base del cinema. Questo, infatti, si compone di fotogrammi in movimento. Il filosofo francese Gilles Deleuze distingue, nel suo grande trattato sul cinema, tra immagine-movimento e immagine–tempo. La prima corrisponde al cinema improntato al rapido scorrere delle immagini, al ritmo serrato del montaggio. La seconda al rallentamento dell’immagine sullo schermo. E il rallentamento corrisponde appunto al tornare verso il fotogramma, la fotografia ferma. Quello che si sprigiona in questo secondo caso è un movimento più interno al pensiero e alla struttura intima del mondo. È proprio quell’andare oltre il punto storico che l’immagine incorpora in sé e trascende.

Yann Arthus-Bertrand è un grande fotografo francese che si è specializzato nelle foto dall’alto, aeree. Un giorno – ci racconta quando lo incontriamo al Cinema Farnese Persol di Roma – il suo elicottero ha un guasto ed è costretto a stare fermo tre giorni in uno sperduto villaggio tra le montagne. È ospite di una famiglia che durante la sua permanenza gli racconta tutta la propria drammatica vicenda esistenziale. Yann capisce che la sua fotografia deve scendere dal cielo e dare voce all’umano. Ecco il progetto di Human. Centinaia di fotografie di donne e uomini che parlano dei temi cruciali della nostra esistenza: guerra, miseria, fame, odio, amore, amicizia, senso della vita. Si passa da uno all’altro di questi capitoli di massima attraverso grandi riprese dall’alto di paesaggi naturali e umani. Riprese che scorrono lentamente, davvero vicine alla fissità spettacolare di una foto. E d’altronde cosa ci lascerebbero vedere, percepire se fuggissero veloci sullo schermo, al nostro occhio, alla nostra cine-coscienza? Esse sono delle vere e proprie sintesi, ricapitolazioni spaziali di quanto detto dall’umano e apertura verso nuove parole, pensieri, capitoli dell’esistenza. A parte l’ex presidente dell’Uruguay Pepe Mujica, tutte le altre persone che parlano sono dei grandi sconosciuti, dalle grandi parole e pensieri, però.

Domandiamo ad Arthus-Bertrand come abbia fatto a ottenere dai suoi testimoni una così profonda confidenza e capacità di esprimersi davanti alla macchina da presa. Risponde che lui ha realizzato solo una minima parte di quelle interviste. Le altre sono state fatte in 60 paesi (anche in Italia) dai suoi collaboratori, attraverso quaranta domande, che cominciavano dalle informazioni più semplici per finire ai temi più drammatici e intimi della loro vita. Le persone avevano tutto il tempo, i racconti, le parole che volevano per rispondere alle domande. Questo consentiva loro di aprirsi piano piano sempre più scopertamente e intensamente. Attraverso questo metodo sono state realizzare 2020, in 63 lingue, e 500 di ore di riprese, poi sintetizzate nei brani di discorsi riportati. L’immagine di ogni persona che parla è fissa su un fondo nero, una vera e propria foto, ma questa è alternata agli sguardi, alle rughe, alle smorfie di contentezza o dolore di centinaia di altri volti muti.

Ne esce un grandioso quadro d’insieme di tutta l’umanità e le terre abitate sotto il cielo, attraversate dalle acque, dai drammi, le tragedie, le speranze, le possibilità, la forza della testimonianza, il grido di aiuto, la certezza e la gioia dei legami e delle risorse sotterranee più intime. Il film dura tre ore e dieci minuti ma sono state realizzate due versioni più brevi per le scuole: una di due ore per le scuole medie e superiori e una di un’ora per le elementari.

Il prossimo progetto al quale Yann sta già lavorando è Woman, Donna, e seguirà in parte lo stesso metodo e percorso di Human. Se ci sono lettrici che hanno qualcosa da raccontare possono prendere contatto con il regista su www.goodplanet.org o www.fondationbs.org Ci tiene a lanciare il suo appello attraverso noi: “Vi aspetto, ragazze di ogni indefinita età e latitudine”.