FRANCO UKMAR, PANE, CINEMA E ACROBAZIE

Riccardo Tavani

L’11 agosto 2016 è scomparso da quegli schermi di aria e muri chiamati “realtà” Franco Ukmar, una delle figure attoriali e di stuntman più appezzate e amate – insieme ai suoi fratelli – del cinema italiano. Apprezzare e amate soprattutto dai grandi attori cui hanno fatto da spalla o controfigura nelle scene più a rischio. Attori come lui hanno girato centinaia di film e costituiscono un tessuto connettivo di fondo in mancanza del quale il cinema non potrebbe neanche costituirsi. Per questo meritano un grande riconoscimento affettivo e professionale, soprattutto perché hanno lasciato un segno e un insegnamento di cui il nostro cinema continuerà a nutrirsi. Le stars che hanno non solo stimato ma sinceramente ammirato Franco Ukmar e i suoi fratelli attori, acrobati, stuntman sono davvero tante. Ad esempio Bud Spencer e Terence Hill, che qui vediamo in alcune scene dei film “Non c’è due senza quattro” e “Altrimenti ci arrabbiamo”. Un saluto e un ciack ancora, Franco.

(Di seguito quello che ci ha scritto una delle sue figlie, Daniela Ukmar. Non solo un ricordo affettivo ma anche il contributo di una studiosa di storia nell’inquadrare la grande scuola degli stunt-men italiani in una scena più generale. Grazie, Daniela)

FACCE DA DJANGO E VOLO D’ANGELI SUL COLOSSEO

Daniela Ukmar

Grazie dell’inaspettato ricordo di mio padre. Superando una personale ritrosia, vorrei aggiungere quanto il mestiere di Franco (e dei suoi fratelli Bruno, Sergio, Giancarlo, Giovanni e Clemente) e di una cinquantina di altri stunt-men italiani (solo per citare alcuni di cui conservo viva la memoria: Alberto, Aldo, Ottaviano e Roberto Dell’Acqua, Rinaldo e Nazareno Zamperla, Renzo e Osiride Peverello, Riccardo Pizzuti, Giorgio Bastianoni, Nello Pazzafini, Giovanni Cianfriglia, Claudio Pacifico, Omero Capanna, Rocco Lerro, Benito Pacifico, Marco Stefanelli, Romano Puppo, Angelo Ragusa, Riccardo Petrazzi, Claudio Ruffini, Pietro Torrisi, Salvatore Borgese, Sergio Mioni, Aldo Canti, Mario Novelli, Attilio Severini, Franco Daddi, Bruno Di Luia, Enzo Maggio) occupi indubbiamente un posto molto esteso nel cinema italiano tra la fine degli anni Cinquanta fino a tutti gli anni Novanta. Non solo perché gli stunt sono stati la “controfigura” di una lunghissima lista di famosi attori italiani e stranieri (che ne sarebbe, ad esempio, delle mirabolanti gag della coppia comica dei due ragionieri più famosi d’Italia, Fantozzi e Filini, senza la loro sostituzione in controcampo da parte di Clemente Ukmar, controfigura storica di Paolo Villaggio, e di mio padre Franco, controfigura di Gigi Reder?), ma ancor più per essere stati una parte fondamentale di un filone decisamente emblematico per la storia del cinema italiano: quello del movimentato cinema di genere e d’azione (peplum, western, poliziesco, comico, etc…), nel quale i volti degli acrobati prima citati si alternano in una quantità innumerevole di minuscole guerre: dall’antica roma ai borghi e castelli medievali, dai saloni western e nelle praterie a cavallo ai tetti di un treno in corsa o in roboanti inseguimenti automobilistici . Scene ormai cult (valga per tutti il ciclo “Trinità” o “Django”) in cui, l’uno e l’altro, si azzuffano sospesi ad altezze rischiose o volteggiano in spettacolari contorsioni.
Di un tale filone di opere cinematografiche hanno costituito il vero fulcro, muovendosi attraverso scene di azione da loro stessi ben organizzate e spesso autonomamente costruite con il benestare del regista, che quasi sempre affidava la sapiente gestione del fluire dei ciak alle loro grandi competenze “tecniche”, modellate in parte anche sulle personali maestrie acrobatiche.
Mi piace ricordare, inoltre, che mio padre è stato il protagonista di una delle “cadute” più spettacolari del cinema: quella dalla vetta del Colosseo nella scena finale del film statunitense “Il Castello di carte” del 1968 (House of Cards di John Guillermin con Orson Welles, George Peppard, Inger Stevens).