Come la commedia si fa tragedia femminile in India

 Riccardo Tavani

L’india è considerata la più grande democrazia dell’Oriente, avendo ereditato tale sistema direttamente da una delle sue moderne culle in Occidente: l’Inghilterra. Nell’ultima Festa del Cinema di Roma, appena conclusa, il pubblico ha premiato un film indiano, il quale ci svela un volto atroce di tale democrazia. Il film, di Pan Nalin, reca il titolo di Angry Indian Goddesesses, ossia qualcosa come Incazzate Divinità Femminili Indiane.

 Sette dinamiche, stupende giovani indiane, amiche d’infanzia, si ritrovano in una casa di Goa per dare l’addio al nubilato di una di loro, Frieda, una fotografa tra le più apprezzate del Paese. La vicenda inizia così come un buddy movie (film d’amicizia) nello stile e nei colori accesi della commedia di Bollywood, ossia della Hollywood indiana, situata a Bombay (oggi Mumbay). Piccoli e successivi scarti, però, la deviano verso il drammatico e poi il tragico. Un tragico interamente femminile, o meglio: consumato sulle menti e i corpi di donna.

Il fatto che l’India abbia ereditato la democrazia da uno dei primi Stati europei che l’abbia affermata al suo interno nell’era moderna, ci dovrebbe giù suggerire qualcosa. L’Inghilterra, infatti, poggiava il suo regime politico liberale su un sistema di dominio coloniale, ossia di sottomissione di popoli e rapina di risorse dai loro territori. A questo si aggiungono le condizioni di miseria, degrado e sfruttamento in cui versava la classe operaia dei primi opifici industriali. Ossia: la democrazia è uno strumento di governo, ma tale strumento deve agire anche come schiacciamento di uno strato che serve da nudo, grezzo fondamento di sostegno. Anche la prima democrazia della storia, quella greca, del V secolo avanti Cristo, funzionava così: a essa avevano diritto solo coloro i quali erano considerati cittadini della polis, della città stato. Questi fondavano il loro benessere sugli schiavi e lo sfruttamento delle colonie nel Mediterraneo e a Oriente. Tra l’altro gli schiavi, nell’antica Grecia, come nell’antica Roma, erano spesso proprio gli sconfitti e i prigionieri dei territori conquistati. Ossia: era chi nello scontro aveva perso, si era dimostrato più debole, innanzitutto dal punto di vista della proporzione fisica, materiale delle forze in conflitto.

La festa dell’addio al nubilato delle moderne, meravigliose ragazze indiane ruota nel film attorno a una domanda che si fa sempre più insistente tra le amiche: con chi si sta sposando la festeggiata? Quando la domanda a questa risposta è poi sorprendentemente soddisfatta, si rende ancora più esplicito che la donna in India, non solo per i maschi, ma per lo Stato democratico indiano nella sua interezza, le sue istituzioni e organi amministrativi – quali innanzitutto polizia e magistratura – è considerato e trattato come lo strato più debole, su cui scaricare tutto il peso e la violenza sociale. D’altronde in India esistono ancora le caste, con il corollario di paria, fuori casta, intoccabili, nonostante la costituzione le abbia formalmente abolite. E il fatto che qui al potere è anche andata una grande donna come Indira Gandhi, la quale nel 1984 è stata uccisa in un attentato, dice molte cose, poiché l’India non ha più avuto leader del suo livello. È impossibile in tale Stato democratico, chiedere e ottenere giustizia, perché esso ritiene giusto – e a tale scopo è capillarmente strutturato – sottomettere, violentare e ammazzare le donne, o darle in spose anche nell’età infantile a vecchi, ricchi, socialmente forti maschi.