Le mille e una notte di cinema a Torino

 

dal nostro inviato Riccardo Tavani

 

Lunedì, 23 nov. La mattina presto Torino si presenta sotto un cielo freddo che spruzza nevischio leggero, ma verso le undici il sole è già tornato a splendere sul grande laboratorio cinematografico in atto nella città. Dopo il superaffollamento del weekend, il Tff riprende il suo passo di montagna fin dalle prime proiezioni mattutine.

 

Abbiamo fin qui trascurato di ricordare che – insieme ai film del presente – il Festival ha una sua anima retrospettiva che propone grandi opere del passato. In primo luogo, la cinematografia di Orson Welles (cui è dedicato il manifesto del Tff), poi la sezione intitolata Cose che verranno. Sono riproposti in tale sezione i film che dagli anni ’30 in poi del secolo scorso hanno provato a immaginare il futuro, in termini fantascientifici, o fantapolitici, antropologici, bellici, sociali, urbanistici, ecc. Alcuni titoli: La guerra dei mondi, La macchina del tempo, Il Pianeta delle Api, Dottor Stranamore, Il seme dell’uomo, Stalker, Brazil, Blade Runner, ecc.

 

Il tema del futuro visto dal cinema del passato si lega a un aspetto importante di questo Festival. Il suo presentare, a ogni nuova edizione, opere che aprono al cinema del futuro. Aprono, però, non tanto nei termini immaginativi di quei passati capolavori, quanto dal punto di vista della forma, ossia di nuove possibilità, orizzonti di espressione che il cinema si dischiude via via lungo il suo procedere. Avremo modo di riparlarne.

 

Nella mattinata e nel pomeriggio, al Cinema Classico, sono, tra molti altri, presentati alla stampa due film che vedremo certamente distribuiti il prossimo anno anche nelle sale italiane. Uno è in concorso e si tratta di Coup de Chaud (Colpo di caldo), del francese Rafaël Jacoulot. L’altro nella sezione Festa Mobile è Nie Yanniang The assassin una coproduzione di Taiwan, Cina e Hong Gong del maestro tawainese Hou Hsiao-Hsien.

 

Coup de Chaud sorprende per l’apparente modestia del suo impianto scenico-ambientale, narrativo e di attori scritturati. In un piccolo paese della provincia agricola francese vive Josef, un giovane handicappato psichico. Contro di lui, in un avvincente e convincente crescendo drammatico, si stringe tutta la comunità e anche chi da poco è venuto a vivere lì. Davvero superlativa la prova d’attore di Karim Leklou, nel ruolo di Josef, esaltata da un’opera che merita senz’altro attenzione.

 

Nie Yanniang The assassin parte come un classico del genere letterario e cinematografico detto wuxia, ma ne sconvolge fin quasi dall’inizio le regole. Il wuxia è quello che noi potremmo chiamare il cappa e spada, ossia gli intrighi di corte, gli amori e i combattimenti all’arma bianca di cavalieri e spadaccini. In questo film siamo in Cina nel IX, durante la Dinastia Tang. La giovane e affascinante Yanniang è stata educata da una religiosa di alto rango a essere infallibile quanto spietato strumento di morte, in grado di intervenire negli equilibri di potere tra la Corte Imperiale e le corti – spesso riottose – delle sue lontane province. Rispetto alle scene – che pure non mancano – di duelli volanti e spettacolari scontri, secondo i cliché della tradizione marziale orientale, l’autore sposta la cifra del film più su un elegante, rigorosissimo stile cinematografico. Le inquadrature, i movimenti della macchina da presa, il montaggio muovono lo schermo con la leggerezza, la soavità delle sete, dei veli trasparenti che arredano le dimore e con l’agilità silenziosa dei personaggi. Niente più di questa preziosa, intarsiata lezione stilistica ci spiega meglio l’autentico nodo dello scontro al centro della vicenda e da che parte stia il suo autore. Il vero contrasto non è tanto quello politico, di potere tra la Corte centrale e quelle periferiche, quanto quello tra la guerra e l’amore.

 

In tarda mattinata, nella sala 2 del Cinema Lux, è stato proiettato uno dei più interessanti, fino a ora, film della sezione Tff/italiana doc, dedicata ai documentari: Il Solengo di Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis. Spiega la sinossi di presentazione: “Mario «de’ Marcella», un uomo vissuto per più di sessant’anni nel ritiro di una grotta di tufo.
Non si sa bene cosa abbia portato questo personaggio dai modi bruschi ed eccentrici a condurre un’esistenza solitaria, forse un evento risalente all’infanzia, qualcosa di misterioso e tragico. «Il Solengo», come il maschio del cinghiale che vive isolato dal gruppo”.

 

La sera, nella sala 1 del Cinema Reposi, è stata presentata al pubblico anche la prima parte, o primo volume di una geniale trilogia del portoghese Miguel Gomes. Parliamo As Mil e uma noites – Arabian Nights (Le mille e una notte – Notti Arabe. Il titolo dei tre volumi è O Inquieto, O Desolado, O encantado. Questa è una delle opere nelle quali il cinema presenta una delle sue forme di passaggio verso il futuro. Gomes concepisce un film totale, scavalcando, anzi abbattendo le barriere – soprattutto – tra fiction e documentario, realtà. Non fa un docu-fiction, ma un film che è fiction a tutti gli effetti, con costumi e ambientazioni arabeggianti che ruotano attorno a una bellissima Sherazade. Solo che il vero racconto – esplicitamente dichiarato nei titoli di testa – è il Portogallo di oggi, e con esso l’Europa, l’Occidente e la sua attuale crisi. Così fanno irruzione, tra un’avventura e l’altra della stupenda ammaliatrice, facce, voci, storie vere di persone e situazioni che Gomes ha scovato tra le pieghe della nostra realtà. Dramma, ironia, politica, arte, economia, poesia, vorticano insieme sullo schermo, quasi fosse davvero un racconto dietro l’altro con i quali Sherazade irretiva il Re di Persia Shahryar per non farsi uccidere. Un’opera quella di Miguel Gomez da seguire con attenzione. Le sue notti arabe illumineranno molti schermi, oltre quelli delle belle sale torinesi.